Guardare la serie una seconda volta cambia completamente la prospettiva: chi ha davvero ragione?
Quando nel settembre 2013 venne trasmesso l’ultimo episodio di Breaking Bad, molti spettatori avevano già deciso da che parte stare. La parabola di Walter White, il mite professore di chimica che diventa produttore di metanfetamina, fu accolta come un esempio di scrittura televisiva eccellente. E per anni, Walt è stato percepito come una figura tragica, un uomo spinto oltre il limite dalla malattia e dalle circostanze. Ma rivedere oggi l’intera serie, con occhi più attenti e memoria più lunga, apre scenari ben diversi. Quella che sembrava un’epopea eroica nasconde sfumature più cupe, fino a ribaltare completamente il giudizio su chi sia davvero il protagonista morale della storia.
L’ascesa di Walter White tra menzogne, scelte egoistiche e potere
Dalla prima stagione, l’arco narrativo di Walter White viene costruito su un doppio binario. Da un lato c’è l’uomo malato che vuole garantire un futuro alla famiglia, dall’altro c’è l’ambizione personale, celata ma sempre presente. Già dalle sue prime decisioni, Walt dimostra di non essere del tutto sincero nemmeno con se stesso. Rifiuta l’aiuto economico degli amici, preferendo mettersi a cucinare metanfetamina con uno dei suoi ex studenti. Una scelta che all’inizio sembra necessaria, ma che col tempo si trasforma in dipendenza dal controllo, sete di potere e orgoglio personale.

Il personaggio evolve rapidamente, ma la narrazione riesce a tenere viva l’empatia dello spettatore. Nonostante le bugie, gli inganni, le morti indirette e i ricatti, continuiamo a tifare per lui. È solo con il rewatch che alcune dinamiche diventano più evidenti: Walter manipola Skyler, coinvolge Jesse Pinkman in un gioco distruttivo e trascina la famiglia in un abisso da cui non si torna indietro. Non combatte solo per sopravvivere, ma per affermarsi. Il cancro è il punto di partenza, non il motore centrale. La sua frase “L’ho fatto per me. Mi piaceva” resta impressa non solo come verità finale, ma come chiave per rileggere ogni singolo episodio.
Il vero volto dell’eroe si nasconde in chi non cerca applausi
In questo contesto, a cambiare radicalmente figura è Hank Schrader, cognato di Walt e agente della DEA. Spesso presentato come rozzo, impulsivo o addirittura comico nelle prime stagioni, Hank guadagna profondità man mano che la storia procede. Ed è nel rewatch che la sua coerenza morale emerge con forza. Hank è l’unico a rimanere sempre dalla stessa parte, anche quando questo comporta mettere in dubbio l’uomo che ha sempre considerato parte della famiglia.
Hank rappresenta la legge, ma anche l’affetto, la dedizione e l’onestà. Quando scopre la verità su Walt, non reagisce da nemico ma da uomo ferito. Non cerca vendetta, cerca giustizia. È il suo legame umano con Walt che lo rallenta, che lo tiene ancorato a un conflitto interno difficile da risolvere. Per questo il pubblico, nella seconda visione, inizia a sentirsi vicino a lui. Non solo per ciò che rappresenta, ma perché incarna l’illusione infranta: quella di credere che il bene e il male siano sempre distinguibili.
La differenza tra Hank e Walt è che il primo non mente mai sulla propria natura, mentre il secondo costruisce attorno a sé un castello di inganni, convinto di essere dalla parte giusta. Hank è la figura che scopriamo di ammirare in ritardo, quando non si può più tornare indietro. È lui il vero punto fermo della serie, l’unico a restare integro anche quando tutto intorno crolla. Il suo dolore è il nostro. La sua sconfitta, più morale che fisica, ci lascia un vuoto difficile da ignorare.