Yara Gambirasio, la Cassazione rifiuta l’analisi dei reperti chiesta dai legali di Bossetti

La richiesta della difesa di Massimo Bossetti nel caso di Yara Gambirasio è stata ritenuta inammissibile, potranno solo visionare le prove

La difesa di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva per l’omicidio di Yara Gambirasio esce sconfitta dal ricorso in Cassazione.

La difesa non potrà analizzare i reperti della vittima, ma solo prenderne visione: lo hanno stabilito i giudici della Corte Suprema dopo che i legali Claudio Salvagni e Paolo Camporini aveva presentato un ricorso straordinario per poter mettere le mani – per la prima volta – sugli abiti della 13enne ginnasta di Brembate (leggings, slip, scarpe, felpa e giubbotto) e sul Dna che è la prova regina contro Bossetti.

Il ricorso e la decisione della Cassazione sul caso Yara Gambirasio

Nell’ultimo ricorso la difesa evidenziava come, nella sentenza depositata il 26 luglio del 2023, i giudici della Cassazione avevano giustamente sottolineato come l’autorizzazione all’esame dei reperti “deve ritenersi irrevocabile, valida, vigente, intangibile e non può essere in alcun modo discussa”, ma avevano commesso un “evidente errore di fatto” facendo sì riferimento al provvedimento del 27 novembre 2019 – emesso dal presidente del tribunale di Bergamo – ma inserendo “erroneamente” la ‘nota’ del 2 dicembre 2019 (indirizzata esclusivamente all’Ufficio corpo di reati e non alla difesa).

Il ricorso della difesa di Massimo Bossetti sull'omicidio di Yara Gambirasio
Il ricorso della difesa di Massimo Bossetti sull’omicidio di Yara Gambirasio – Adnkronos – Vcode.it

 

Nota, e non decisione, in cui lo stesso giudice orobico aveva ‘rettificato’ la decisione di soli cinque giorni prima precisando “che l’autorizzazione concerne la mera ricognizione dei corpi di reato (…) rimanendo esclusa qualsiasi operazione di prelievo o analisi degli stessi”.

In sintesi, a poche ore di distanza, il giudice aveva corretto sé stesso e non era più possibile toccare gli abiti di Yara, né provare a ottenere nuove risposte dai campioni di Dna.

Un dietrofront inaccettabile per la difesa di Bossetti che nel ricorso, estremamente tecnico e con più richiami a sentenze delle Sezioni Unite, rimarcava come un giudice non può contraddire una precedente decisione e che andava dunque ribadita la correttezza della pronuncia della Cassazione con riferimento alla decisione del novembre 2019 nel punto in cui consentiva l’analisi dei reperti, in particolare di quelli biologici, e non solo la visione.

Oggi la Cassazione ha deciso, invece, che ai legali del condannato non resta che vedere, e non toccare, gli elementi che hanno contribuito alla condanna all’ergastolo di Bossetti.

La palla ora, salvo sorprese, passa nuovamente a Bergamo che dovrà fissare una data per consentire alla difesa la visione dei reperti di Yara Gambirasio.

“Quello che è successo è una cosa gravissima: da domani potremmo dire che Gesù è morto di freddo. Nel provvedimento autorizzativo c’è scritto una cosa, la Cassazione inizialmente ci dà ragione e oggi fa marcia indietro e questa è una grave violazione del diritto, a mio giudizio“. Claudio Salvagni, difensore di Bossetti, interpellato dall’Adnkronos non trattiene la delusione dopo il no all’esame dei reperti.

“O il provvedimento del 27 novembre scorso 2019 è un falso storico oppure oggi è stato stravolto il diritto perché è stato permesso che una ‘nota’ interna possa modificare un provvedimento ufficiale. E’ come se un giudice emette una sentenza e cinque giorni dopo decide di cambiarla, non è possibile oppure si sconfina nell’arbitrio” aggiunge. In attesa delle motivazioni sulla decisione (i tempi dovrebbero essere rapidi), l’avvocato Salvagni non esclude di rivolgersi alla Corte di giustizia europea.

“Posso tornare a rivolgermi al tribunale di Bergamo e chiedere dopo 5 anni di analizzare nuovamente i reperti, ma dopo il ‘no’ che ho ricevuto lì è piuttosto plausibile pensare che quella autorizzazione non è nemmeno nel ventaglio delle possibilità. Più ricevo dei ‘no’ e più mi convinco dell’innocenza di Bossetti e della necessità di tenerci lontano da quei reperti, ma io non mollo. Non escludo, dopo aver letto attentamente le motivazioni della Cassazione, il ricorso alla Corte europea per avere una giustizia che per me ancora manca” conclude Salvagni.

L’omicidio di Yara Gambirasio e la prova del DNA

Come detto, il muratore di Mapello è stato inchiodato dal test del Dna: il profilo genetico di Ignoto 1, assassino di Yara, coincideva al 99,999% con quello di Bossetti.

Ma oltre a questo aspetto sono diversi gli indizi che convinsero i giudici a confermare l’ergastolo: è il 26 novembre 2010 quando la 13enne scompare da Brembate di Sopra, comune in provincia di Bergamo.

La giovane ginnasta va in palestra per consegnare uno stereo, poi il buio la ingoia lungo la strada verso casa. Tre mesi dopo, il 26 febbraio 2011, il corpo viene trovato in un campo incolto a Chignolo d’Isola.

Yara Gambirasio, la giovano trovata morta nel 2010 a Brembate di Sopra
Yara Gambirasio, la giovano trovata morta nel 2010 a Brembate di Sopra – https://www.rainews.it/ – Vcode.it

 

L’autopsia svela i colpi alla testa, le coltellate alla schiena, al collo e ai polsi. Nessuna mortale, il decesso arriva quando alle ferite si aggiunge il freddo.

Su leggings e slip della vittima c’è una traccia di Yara e ‘Ignoto 1’, ma per arrivare a dare un nome al presunto assassino ci vorranno quasi quattro anni di indagini.

Un’inchiesta unica al mondo: oltre 118mila utenze telefoniche controllate, più di 25mila profili genetici nelle mani di polizia scientifica e Ris.

Il 16 giugno 2014 arriva la svolta: Massimo Bossetti, muratore di 44 anni e padre di tre figli, viene fermato con l’accusa di omicidio con l’aggravante delle sevizie e della crudeltà, oltre che dall’aver approfittato della minore difesa, data l’età della vittima.

Contro di lui, a dire dell’accusa, diversi elementi: il Dna, le celle telefoniche, il furgone ripreso dalle telecamere, le fibre tessili e le sfere metalliche, trovate su Yara.

La traccia biologica (rinominata 31G20), trovata su slip e leggings della vittima attribuita a ‘Ignoto 1’ è il faro dell’indagine: una prova significativa perché individuata su un indumento intimo.

Una traccia mista, forse sangue, il cui match arriva dopo un’indagine faticosa: si risale al padre del presunto colpevole (Giuseppe Guerinoni, viene riesumata la salma), poi alla madre (Ester Arzuffi) che nega la relazione clandestina.

Una consulenza della procura evidenzia un’anomalia nel reperto: il Dna nucleare combacia con il sospettato, non il mitocondriale (indica la linea materna). Per il procuratore generale Marco Martani, l’analisi della traccia genetica porta a “risultati rassicuranti” con una “probabilità statistica che diventa assoluta certezza”. L’assenza del Dna mitocondriale “non inficia in alcun modo la valenza del nucleare, l’unico che identifica in maniera certa una persona”. Il profilo genetico è la prova che Bossetti, attratto dalle 13enni, è l’autore dell’omicidio.

Bossetti, che non conosceva Yara, non sa spiegare perché il suo Dna si trovi sugli indumenti della vittima e alcune intercettazioni in carcere sulla descrizione del campo di Chignolo lo tradirebbero.

L’uomo “attratto dalle ragazzine” potrebbe aver tentato un “approccio sessuale”, poi, sfociato nel delitto. Aspetti messi in discussione dalla difesa, secondo cui non ci sarebbe mai stata certezza su orari e luoghi.

Sul computer del 44enne non vengono trovate ricerche “illecite” o collegate al delitto. Nel giorno della scomparsa di Yara, l’ultima telefonata del muratore di Mapello è delle 17.45, poi il telefono non riceve traffico fino alla mattina alle 7.34.

L’ultima cella che aggancia è quella di via Natta a Mapello, un segnale che certifica la presenza di Bossetti in zona. Da alcune intercettazioni successive emerge “che quella sera rientrò a casa più tardi del solito”.

Infine il furgone di Bossetti, ripreso dalle telecamere di videosorveglianza in un orario “compatibile” con l’uscita di Yara dal centro sportivo.

Un mezzo che, secondo i legali di Bossetti, non sarebbe stato quello del muratore. Sulla vittima c’erano fibre “compatibili” con la tappezzeria dei sedili del furgone di Bossetti.

Il 1° luglio del 2016 arriva la prima condanna all’ergastolo per Bossetti, su cui pesa l’assenza di un alibi e la prova del Dna.

Il 17 luglio dell’anno seguente la sentenza viene confermata in primo grado nel processo d’appello, prima dell’ultimo atto arrivato il 12 ottobre del 2018, giorno in cui è arrivata la condanna all’ergastolo in via definitiva.

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